Ballardin: «Ecco perché chiedo di andare a votare»
Le nuvole restano fuori dall’ufficio al secondo piano del palazzo comunale, anche in una giornata piovosa e un po’ autunnale, e lo si capisce dal tono saldo ma pacato e dagli occhi, che mentre si parla restano incollati all’interlocutore.
Dietro al tavolo un uomo di 62 anni col mal di schiena per due motivi: aver troppo giocato coi nipotini, reduce da una vacanza sul Tirreno toscano, e per aver affisso cartelli elettorali a una settimana dal voto.
Ma come? Cartelloni elettorali, e volantinaggi, per un comune dove c’è un solo candidato sindaco alle elezioni amministrative che si terranno fra tre giorni?
Gianpiero Ballardin sorride appena: «Ho alle spalle quarant’anni di militanza, l’ho sempre fatto».
Ma contro chi deve combattere questo sindaco a fine mandato e che un altro ne chiede ai suoi elettori, finito nella bufera qualche mese fa in una vicenda processuale che ancora non si è conclusa?
La risposta sta nei numeri: con una sola lista che si presenta al voto, l’affluenza diventa quorum e vittoria se alle urne si reca almeno il 50% più uno degli aventi diritto; la traduzione sta in un numero: 796. In 796 dovranno andare ai seggi per rendere valide le elezioni.
Un’arma a doppio taglio, quando è stratega politica; ma non è il caso di Brenta.
Ballardin è sereno: non lo spaventa il volto sprezzante dell’antipolitica, o i siluri fatti partire dal Movimento Cinque Stelle all’indomani del terremoto giudiziario che l’ha tenuto per giorni ai domiciliari.
«Sì, erano proprio qui sotto: un capogruppo alla Camera, una candidata sindaco a Milano, altri parlamentari: tutti qui a chiedere le mie dimissioni a favor di telecamera. E pensare che ad oggi nessuno è stato in grado di raccogliere otto persone da mettere in una lista…».
Eppure, in campagna elettorale questo sindaco di un paese di 1800 abitanti che funge da “porta” della Valcuvia, solo non si sente.
«Non mi sento solo perché ogni giorno percepisco la vicinanza dei miei cittadini», dice, sfilando dalla tasca una lettera: «Questa l’ho da poco ricevuta, è firmata da una famiglia intera che conosco». Con la mano copre il cognome, ma nel testo si legge una dichiarazione di sostegno – “con tanta stima” – e un augurio di gioia futura.
Una sola lista.
«Già. E per curiosità sono andato a rivedere tutte le elezioni passate, ed è la prima volta che accade».
Come lo spiega?
«Oggi fare il sindaco è diventata un’impresa quasi impossibile, ci vuole un impegno enorme. È necessario sapere e decidere con sempre meno risorse. Poi forse qualcuno ha voluto scommettere sull’arrivo del commissario prefettizio. Io però credo che questo “giochetto” sarebbe molto negativo per la vita del paese, quindi ho deciso di rimettermi in pista».
Squadra nuova: più della metà sono i giovani.
«L’obiettivo è seminare, e costruire una nuova classe dirigente per il paese. Io vorrei andare in pensione e lasciare il testimone ai più giovani. Per questo ho deciso di coinvolgere i ragazzi che in questi anni si sono distinti per un particolare impegno a favore della vita comunitaria, che si sono fatti carico a vario titolo di Brenta. Per esempio, senza nulla togliere alle tante nuove leve le faccio un nome, che forse ricorderà: Ginevra Di Biase. Ginevra è stata il primo sindaco dei ragazzi: aveva 9 anni quando le misi la fascia tricolore. Oggi è in lista con me, studia giurisprudenza, e ci crede. Lei, come tanti altri, potrebbe raccogliere questo testimone».
Un bilancio degli ultimi cinque anni.
«Sono stati cinque anni difficilissimi. Duri. Soprattutto per i comuni di piccole dimensioni che hanno dovuto combattere una guerra silenziosa contro forti e indiscriminati tagli e burocrazia eccessiva».
Un suo pallino per i prossimi cinque.
«Il territorio: recuperare il vecchio e limitare il nuovo. Le vecchie costruzioni, anche nei centri storici non devono restare vuote e trasformarsi in ghetti perché questo genera problemi sociali e degrado. Inoltre dobbiamo proteggere il consumo di suolo».
Un sogno nel cassetto per Brenta?
«Fare in modo che la gente viva in maniera partecipata, che renda vitale la comunità, che esca dalle case e si riconosca nel paese».
Ma non teme l’astensionismo?
«No, perché percepisco che gli elettori abbiano capito la situazione, consapevoli che in questo contesto andare a votare assume una valenza democratica ancora più importante. Poi, in molti, devo dire che mi stanno dando una grossa mano: tutte le associazioni del paese hanno realizzato un volantino per invitare i cittadini ad andare a votare: questo sarà determinante».
Venerdì 3 giugno alle 21 nella sala consiliare del comune ci sarà la chiusura della campagna elettorale. Come andrà a finire?
«Lo sapremo solo un minuto dopo. Le confido un vecchio detto di mia nonna: “Saprai se la pianta nasce quando la vedi spuntare dalla terra, non prima”. Beh, noi i semi li abbiamo messi».
Un’ultima domanda: qual è il suo merito maggiore?
«Mi sento appuntata al petto la medaglia di nonno, e questo è un traguardo cui tengo moltissimo. E aggiungo che la mia famiglia è stata fondamentale per farmi superare tutti i momenti difficili che ho attraversato. Se noi trattassimo la nostra società come una famiglia, vivremmo in un mondo molto diverso, e sicuramente migliore di quello attuale».