Varese vuole il cambiamento, ma senza rivoluzione

Non è facile, in queste ore, interpretare i sentimenti del pigro elettorato varesino, a pochi giri dal voto amministrativo più incerto di sempre. I 6 candidati a sindaco hanno giocato le loro carte con una certa discrezione, hanno fatto campagna elettorale senza fuochi di artificio, si sono un po’ attaccati, ma in generale la gente se ne è stata abbastanza a casa propria. I cittadini sono stanchi, dicono tutti, le gente è disillusa, schifata dalla politica, soprattutto dall’orgia di talk televisivi che ci propongono, a ogni ora, persino a Domenica In, personaggi spesso neanche mai sentiti nominare che si azzuffano per nulla.

Verrebbe voglia da alzare la bandiera bianca, proprio come diceva Franco Battiato, eppure mai come questa volta, a Varese, vi sono stati tanti candidati provenienti dalla società civile, persone coinvolte per la prima volta in una competizione elettorale in cui hanno messo impegno e passione. E’ il paradosso di questa sfida, che vede quasi 500 persone e relative famiglie, mobilitate, a caccia della preferenza e del voto.

Merito, si dirà, anche dell’incertezza del risultato finale. Dei civici si è detto e una lode alla loro correttezza andrebbe fatta: Andrea Badoglio rappresenta la purezza di una lista senza alcuna logica di partito, Francesco Marcello corre per un movimento di destra che vorrebbe diffondersi in tutta Italia ma è sempre stato sui temi cittadini senza strafare. Flavio Pandolfo rappresenta invece una sinistra identitaria che si pone all’opposizione del Governo Renzi e guarda alle fasce deboli e agli stranieri. L’outsider più ambizioso è Stefano Malerba che divide in due il voto del centrodestra, una realtà che però si verificò già nel 2011 quando Mauro Morello dell’Udc (compagine che corrisponde in parte alla Lega Civica di oggi) si candidò al centro e ottenne il 6,8% dei voti. Insomma, l’outsider tra destra e sinistra c’era già nel 2011.

Il punto, quindi,  è soprattutto capire se ci sarà un’astensione maggiore rispetto a 5 anni fa:  è facile prevederlo anche per l’assenza del Movimento 5 Stelle non pervenuto nelle stanze della democrazia, ma ci vorrebbe un mago oggi per sapere che cosa faranno le 20mila persone circa che votarono al primo turno per Attilio Fontana, per la Lega e per Forza Italia.

Il leghista e il berlusconiano (delusi?), il varesino abituato alle sue tradizioni e, fino a ieri, poco incline a lanciarsi in scelte che non sono nelle sue corde sarà probabilmente l’ago della bilancia. Quella che un grande maestro del giornalismo come Pierfausto Vedani ha definito “una voglia di cambiamento ma non di rivoluzione” potrebbe essere il sentimento prelevante dell’elettorato. Chi è più adatto a intercettare questo feeling? Vediamo.

Il candidato del centrosinistra Davide Galimberti ha puntato molto sul cambiamento, si è proposto come libero dai partiti senza rinnegare la sua appartenenza al Pd, ha abbracciato Renzi, ma tagliando tutti gli accenni a una sinistra barricadera, isolando la componente di Sel e Rifondazione, scrivendo un programma che parla solo di progetti civici e amministrativi, proponendo un sindaco vicino alla gente, con la porta aperta, e senza alcun cenno a temi potenzialmente indigesti alla pancia borghese dell’elettore bosino, come la moschea, la questione stranieri o il gay pride.

Dal canto suo Paolo Orrigoni ha seguito una linea moderata non dissimile. Non ha mai alzato i toni, ha garantito una continuità con gli aspetti più ambiziosi della giunta Fontana come la realizzazione del nuovo teatro e della Piazza Repubblica  ma si è proposto come un’evoluzione naturale della Varese moderata, senza rinnegare l’era leghista. Non ha evitato Salvini e lo incontrato più volte ma ha sempre parlato solo di progetti civici e di questioni amministrative. In questo forse non avrà soddisfatto la pancia del leghismo duro e puro, ma ha parlato a una certa Varese apolitica e in cerca di punti di riferimento.

Ora tocca all’elettore che tutti dipingono come stanco e deluso, ma che sotto sotto, invece, si prepara a fare una scelta, nel silenzio dell’urna, niente affatto scontata.  Chi dei due, o dei sei candidati, sarà quel rinnovamento senza rivoluzione che potrebbe piacere alla compiaciuta, pigra, antica e deliziosa città di Varese? La frase, è curioso, potrebbe adattarsi a entrambi i maggiori contendenti. Ci rivediamo lunedì.

 

Roberto Rotondo

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